sabato 12 dicembre 2009

Storie stonate - viaggio tra le leggende metropolitane della musica

Si sente parlare da tempo di fatti strani, come i cuccioli di coccodrillo gettati nel gabinetto che crescono e popolano le fogne di New York o di cose ancor più classiche tipo il mostro di Loch Ness.
Storie strane (anche molto strane), le cosiddette leggende metropolitane, hanno il potere di diffondersi tra la gente in modo "virale" e quanto più raggiungono ampia diffusione tanto più diventano vere nel sentito comune (consultate il sito leggendemetropolitane.net per approfondire il tema).
La musica POP, è appunto POPolare, cioè ampiamente diffusa tra la gente comune, come diffusi sono aneddoti e storie, per lo più strani, attribuiti a molti protagonisti della scena musicale. Tra questi protagonisti ci sono molti personaggi del rock, genere che nel suo DNA ha la ribellione, la trasgressione ed è sempre stato interpretato da personaggi eccessivi o quantomeno particolari.
Chi non conosce la storia della presunta morte di Paul McCartney sostituito da un sosia? Credo sia ormai un classico, come il mostro di Loch Ness, e chi non ha sentito parlare degli avvistamenti di personaggi come Elvis o Jim Morrison successivamente alla loro morte? Ci sono generi musicali ed artisti che rappresentano indubbiamente un terreno fertile per la crescita rigogliosa di queste leggende.
Per chi fosse interessato a queste cose, c'è il libro "Storie Stonate" di Fabio Caironi, una bellissima rassegna di 50 leggende metropolitane sul mondo della musica. Per la maggior parte si tratta di storie che risalgono a qualche decennio or sono, quando la musica aveva personaggi che, nel bene e nel male, si facevano notare (pensiamo a gente come Ozzy Osbourne, Jimi Hendrix, i Kiss, i Rolling Stones, gli Who, etc...).
Ogni vicenda esposta nel libro, viene analizzata e ben contestualizzata dall'autore, con dovizia di particolari (comprese le diverse versioni della leggenda diffuse) e riferimenti a fatti, luoghi e persone presenti, ed è successivamente ricondotta a un'analisi più razionale. L'editore non a caso è Avverbi, la casa editrice il cui motto è "Dalla parte della ragione".
Consiglio a tutti questo libro (si può acquistare qui), una lettura veramente piacevole oltre che un viaggio nei casi più clamorosi di cui si parla da tempo nel mondo della musica.

domenica 8 novembre 2009

Musica di celluloide

Tra i miei libri preferiti ce n'è uno che fa divulgazione in modo molto particolare: "Cuori e denari" di Giorgio Ruffolo che, attraverso le biografie di dodici grandi economisti, illustra i principi dell'economia in modo semplice quanto piacevole.
Penso che i film che parlano delle biografie dei personaggi della musica abbiano lo stesso effetto, perché favoriscono l'avvicinamento alla produzione musicale di alcuni artisti, proprio attraverso il racconto delle loro vite.

A tal proposito mi tornano in mente gli ultimi film che ho visto di questo genere: "Quando l'amore brucia l'anima" (2005) e "Ray" (2004), biografie di Johnny Cash e di Ray Charles, due film bellissimi.
Come non ricordare poi, la biografia di Jim Morrison (e in parte dei Doors) portata sul grande schermo da Oliver Stone? ("The Doors" del 1991), quella di Jerry Lee Lewis "Great Balls of Fire" (1989), o quella di Ritchie Valens (il messicano arrivato al successo nell'America degli anni '50 e scomparso prematuramente in un incidente aereo insieme ad altri due cantanti: Buddy Holly e Big Bopper), raccontata ne "La Bamba" (1987) e ancora "Sid e Nancy" (1986), la storia di Sid Vicious dei Sex Pistols...

La musica deve molto al cinema secondo me, anche quella classica, pensiamo a film come "Amadeus" (1984), sulla vita di Mozart. Chissà quante persone hanno scoperto e iniziato ad ascoltare la musica di grandi artisti grazie a quei film "biografici", che sono una delle strade principali per arrivare a conoscere la buona musica (visto che le radio ormai trasmettono soltanto roba "di consumo"...).
Anche film non direttamente legati alla biografia di un artista possono avere lo stesso effetto, pensiamo a "Maledetto il giorno che t'ho incontrato" di Verdone (che è tutto incentrato sulla figura di Jimi Hendrix), a "Mississipi adventure" (titolo originale "Crossroads", un filmetto "on the road" di non grandissimo valore cinematografico, che ha il merito di portare al grande pubblico la figura del padre del blues Robert Johnson) o al vecchissimo "La città del jazz" (titolo originale "New Orleans", 1947), nel quale i protagonisti interpretano praticamente se stessi e sono Louis Armstrong, Billie Holiday e Woody Herman...

La musica è espressione dell'artista e della sua vita e il cinema ci aiuta a capire il percorso da cui le melodie e le parole, che hanno affascinato milioni di persone, sono arrivate.
Le vite di certi artisti sono talvolta più avventurose del più coraggioso dei copioni cinematografici, e certe pellicole ce lo hanno dimostrato. La storia di Jerry Lee Lewis, quella di Johnny Cash o quella di Ray Charles superano la fantasia di qualunque scrittore e si prestano molto a un adattamento cinematografico (si tratta di personaggi di successo e ricchi, ma che spesso hanno conosciuto la malattia, la discriminazione, la droga...).

Questo è Dennis Quaid che interpreta Jerry Lee Lewis in "Great Balls of Fire".

venerdì 9 ottobre 2009

Queen... e non aggiungo altro

Da dove comincio? forse dalle TV private. Ero piccolissimo quando vidi per la prima volta certi strani filmati in televisione, vedevo gente che suonava e uno che cantava con la maglietta di Flash Gordon... quella musica mi prendeva, la sonorità della chitarra suonata da quel capellone era magnetica... che emozione rivederlo quel filmato, l'ho ritrovato su Youtube.



Un pezzo d'infanzia, ricordi di un bambino che vedeva quella roba ed altre cose anche più inquietanti (filmati che in età adulta ho identificato; uno ad esempio era un brano del film "Tommy", opera Rock degli Who). Quanto tempo... quanta musica è risuonata dentro 'ste orecchie, e se questa musica è stata il rock è stato anche per colpa degli incontri ravvicinati del terzo tipo con certi personaggi strani, che non erano proprio le cose che si vedevano sulla TV dei ragazzi (ormai preistoria...).

Non è facile per me parlare dei Queen, dei ricordi televisivi di cui ho già scritto, delle emozioni che provo sempre quando ascolto Bohemian Rhapsody, Brighton Rock, Radio Ga-Ga o le più recenti "These are the days of our lives" (struggente) e "The show must go on" (la prima volta che l'ho sentita mi sono chiesto perché Freddie avesse scritto quella specie di testamento...).
Che dire dei Queen? Che Farrokh Bulsara (Freddie Mercury) era uno dei più grandi showmen mai apparsi sulla terra, dotato di una voce ed una presenza scenica uniche? Che Brian May è uno dei pochi chitarristi che riconosci alla quarta nota che suona? (si contano sulla punta delle dita... Hendrix, Gilmour e pochi altri)...

Sui Queen ci sarebbe da dire troppo, come su tutti i grandi, ma alla fine si rischia di dire sempre poco. Mi limiterò a dire che i Queen da "Queen I" al disco di addio di Freddie "Innuendo" (1991, un disco che è il testamento musicale di questo grande artista, un lavoro di una intensità, profondità e tristezza difficilmente eguagliabili), sono stati almeno 4 gruppi diversi, pur continuando ad essere sempre loro.
Escludendo "Innuendo" (oltre che le raccolte e i live), che per me rimane un discorso a parte, questi sono i "periodi" in cui divido la produzione dei Queen:
  1. gli inizi, innovativi e glam ("Queen", "Queen II", "Sheer Heart Attack")
  2. gli anni del fenomeno Queen ("A Night at The Opera", "A Day at The Races", "News of the world", "Jazz")
  3. il passaggio dai '70 agli '80 ("The Game", "Flash Gordon", "Hot Space")
  4. gli anni '80 ("The Works", "A Kind of Magic", "The Miracle")
In queste quattro "ere" i Queen si sono reinventati rimanendo fortissimamente loro stessi. La loro maestosità musicale è sempre rimasta intatta, espressa nei modi più diversi: dai brani strutturalmente complessi come "Brighton rock" (da "Sheer Heart Attack") o "Bohemian Rhapsody" (da "A night at the opera"), alle canzoni più intense, veri e propri inni per i pubblico, come "Save me" o "Somebody to love", alle cose bizzarre tipo "Fat bottomed girls" (un rock pieno di cori maestosi, che celebra le ragazze con il fondoschiena abbondante, che sta sul disco "Jazz"), ai brani di musica dance/pop come "Another one bites the dust" (da "The game").

Vi propongo un piccolo sondaggio che ricalca quanto detto sopra, quali sono i Queen che preferite?

mercoledì 9 settembre 2009

Il rock e l'insegnamento efficace: "School of Rock"

Settembre... tempo di scuola... mi torna in mente una signora, conosciuta tempo fa, che era letteralmente esausta, perché costretta a fare l'una di notte ed alzarsi alle 5 del mattino per aiutare suo figlio (classe prima media) a studiare. La situazione di quel ragazzino era quella di tutti i suoi compagni di scuola (le mamme di quella classe stavano per andare tutte insieme dal preside a chiedere il perché di una così forte pressione sui ragazzi), costretti a stare ore sui libri o a fare decine di esercizi come compiti per casa...
Avendo concluso che forse non il problema non era nelle capacità del figlio, questa mamma si stava ponendo due domande di una semplicità e di una saggezza disarmanti:
1) è solo la quantità di nozioni/pagine/esercizi che aiuta i ragazzi ad apprendere?
2) si impara ancora in classe con le spiegazioni, e si consolida l'apprendimento casa facendo i compiti, o qualcosa è cambiato nella scuola...?
Penso che insegnare, soprattutto ai giovani, sia una grandissima responsabilità ed un lavoro molto impegnativo, sennò degli insegnanti non ci sarebbe bisogno. Se i libri fossero solo contenuti da immagazzinare, da soli sarebbero più che sufficienti...

No no... non sto fuori tema, sto sempre nel mio blog musicale. L'incontro descritto poc'anzi mi ha fatto tornare alla mente un film tutt'altro che serio, anzi comico, che facendo ridere mostra alcuni "ingredienti" che non dovrebbero mancare ad un buon insegnante.
Il film è "School of rock" (del 2003; ringrazierò sempre Daniele, un mio amico, per avermelo fatto scoprire), con il bravissimo Jack Black che interpreta un chitarrista, cacciato da una band, che per rimediare i soldi dell'affitto finge di essere il supplente in una scuola elementare... e inizia ad insegnare la sua materia, il Rock!

Il film è una simpatica sequenza di citazioni, luoghi comuni, vizi e stranezze del rock (soprattutto di quello anni '70) che oltre a far sorridere e a far ascoltare un sacco di musica bellissima, fa riflettere su molte cose.
Il personaggio, nella sua comicità, rappresenta tutta la passione (per ciò che si insegna) che caratterizza gli insegnanti bravi e fa vedere che la didattica non è solo "spiegare" i libri ma anche
- esemplificare
- far sperimentare
- far vedere ed ascoltare
- rappresentare le connessioni tra vari fenomeni

insomma guardatevi questi spezzoni di un film veramente imperdibile, dal punto di vista musicale ma non solo!


mercoledì 15 luglio 2009

Canon, Xerox, etc. fanno affari d'oro... (l'auto-plagio)

In ambito musicale, qualcosa che suona familiare, simile a cose già ascoltate, ci coinvolge più facilmente di qualcos'altro che suona completamente nuovo (mi daranno il premio nobel per questa scoperta rivoluzionaria!).
La storia della musica, soprattutto quella più recente, è prodiga di "fenomeni" costruiti per assomigliare (musicalmente e come immagine) a qualcun altro e per essere trasmessi nei canali di diffusione giusti, perché amici, amanti, o parenti di qualche grosso discografico, o semplicemente perché in possesso di una faccia che in quel momento funziona.
Basta sintonizzarsi sulla maggior parte dei network musicali, radio o tv e cominciare a fare il gioco delle somiglianze, per capire quanto questa pratica di "copiatura" sia diffusa, ma forse siamo talmente abituati, che ci sembra naturale che la musica, all'interno di determinati generi, si assomigli tutta.

Non è però di "copiature" o di plagi (fenomeno molto diffuso) che voglio parlare in questo post, ma di "auto-plagi".
Se si può fare successo riciclando cose altrui... perché non farlo fotocopiando le proprie canzoni?
Squadra che vince non si cambia, recita un antico adagio calcistico. Canzone che vince... si ripropone, sembra essere il corrispondente musicale della regola "aurea" del pallone!

Tutti abbiamo in testa canzoni di qualche artista che assomigliano ad altri suoi brani del passato e, se non siamo proprio adolescenti, ricordiamo le gesta di personaggi come i Modern Talking o Sandra, che negli oscuri anni '80 andavano avanti riproponendo per anni la stessa canzone (ma c'è da dire che anche personaggi "veri" sono caduti in tentazione....).
Il fatto è che riproporre (copiando parti melodiche, ritmiche, o creando intere canzoni identiche ad altre prodotte nel passato) è molto più facile che scrivere cose nuove e, con pochi ritocchi, si può lanciare come nuovo qualcosa che suona molto simile a successi precedenti, qualcosa che forse più facilmente avrà successo. Qualche esempio?
  • Dire Straits: "Sultans of swing" e "Lady writer" (stesso ritmo, stessa chitarra ritmica)
  • RHCP: "Under the bridge" e "Soul to squeeze" (struttura identica, con intro soft, linea di basso molto sottolineata, finale con chitarra elettrica distorta)
  • Vasco: "Siamo solo noi" e "Colpa d'Alfredo" (... armonicamente è la stessa canzone, lo si capisce al primo ascolto)
  • Nirvana: "Smells like teen spirit" e "Rape me" (il riff è fotocopiato, il sound della canzone non è proprio identico, ma comunque simile)
  • REM: "The end of the world as we know it" e "Bad Day" (stesso ritmo, stessa melodia nel ritornello.. due note di differenza)
  • Eagles: "Take it Easy" e "How long" (stessa ritmica, stessa atmosfera... la prima volta che ho sentito "How long"... ho detto che era la "Take it easy" degli anni 2000)
A onor del vero non credo che il mestiere del musicista sia così facile e in alcuni casi questa "auto citazione" sarebbe una chiara volontà dell'artista (sia i Nirvana che REM nelle due canzoni di cui sopra, pare lo avessero più o meno esplicitamente dichiarato... comunque sarebbe stato difficile da negare...). Non tutti del resto, sono capaci di scrivere canzoni, o album interi, sempre innovativi e di successo (non è una cosa semplice) e quasi tutti i casi che ho citato non sono "fotocopiatori" patologici... ma è anche vero che non tutti si chiamano Pink Floyd, Zappa o Led Zeppelin...

Queste sono "Colpa D'Alfredo" di Vasco e il suo clone "Siamo solo noi", giudicate voi...

venerdì 26 giugno 2009

Stanotte si è spenta la più grande e controversa star del pop

Tornare a casa di notte, accendere la TV e sentire la notizia della morte a causa di un infarto di un uomo di 50 anni, di nome Michael Jackson, mi ha fatto un certo effetto.
Ex bambino prodigio, iniziò la carriera nel gruppo di famiglia, i Jackson Five, composto da lui e da altri quattro suoi fratelli.
Il grande successo arriva quando poco più che ventenne irrompe nel mercato mondiale con il suo "Thriller" (1982), disco dei record e dei grandi successi ("Thriller", "Billy Jean", "Beat it" solo per citarne alcuni).

Jackson è stato il promotore di iniziative benefiche come "USA for Africa" e il creatore di fondazioni a favore dell'infanzia, ma è anche balzato alle cronache per essere un personaggio eccentrico, accusato di pedofilia, oltre che misteriosamente trasformatosi da uomo di colore in uomo bianco.
E' stato un artista capace di creare grandi successi commerciali ma anche un uomo capace di inviare al mondo messaggi a favore delle popolazioni più povere, attraverso brani come "Heal the world".
Un personaggio fatto di luci ed ombre, un uomo che ha saputo attrarre l'attenzione su di se, e non sempre per motivi nobili, un artista che ci ha lasciato molta musica che rimarrà senza dubbio nella storia del pop.

Una delle mie canzoni preferite di questo artista è "Man in the mirror", un brano che parla di quell'uomo davanti allo specchio con il quale ci confrontiamo tutti, prima o poi, nella vita...


sabato 6 giugno 2009

Due! (Beatles e Rolling Stones)

L'uomo deve sempre ricorrere ai dualismi. Forse perché la nostra vita è fatta di dualismi (giorno e notte, bene e male, etc.), che da sempre ne creiamo: Guelfi e ghibellini, Roma e Lazio, Obama e McCain, USA e URSS. La letteratura ci ha raccontato i Montecchi e i Capuleti di Shakspeare e il "Visconte Dimezzato" di Calvino (che era tagliato in due parti, quella buona e quella cattiva); anche gli scritti di carattere sociologico o psicologico ci hanno fatto riflettere su un sacco di dualismi ("Avere o Essere" di Fromm, le teorie contrapposte "X" e "Y" descritte da McGregor ne "L'aspetto umano dell'impresa", etc.).
Insomma esistono situazioni in cui si sta da una parte o dall'altra, dove una terza scelta è difficile che ci sia!

Nell'ambito della musica pop/rock, il re di tutti i dualismi è quello Beatles / Rolling Stones, un dualismo storico, quello su cui c'è un confronto che va avanti da generazioni.
I Beatles con la faccia pulita, la camicia e la cravatta, gli Stones mezzi hippie, alcolizzati e forse qualcos'altro... i Beatles più compatibili con i gusti delle mamme, gli Stones, incarnazione del demonio!
Va avanti ormai da più di quarant'anni il dibattito tra chi preferisce le melodie incantate della premiata ditta Lennon-McCartney e chi sostiene, senza tentennamenti, che è meglio il rock-blues sporco e trascinante degli Stones.
Beatles e Rolling Stones, due mondi contrapposti che rappresentavano due modi di essere della gioventù degli anni '60 e, anche se gli anni si son portati via i movimenti giovanili e la pigmentazione dei capelli di tanti (ormai ex) giovani, il faccia a faccia tra questi due mondi (sul piano musicale) ancora è in voga.

Per quanto ci appaiano contrapposti, gli scarafaggi e le pietre rotolanti, hanno un sacco di aspetti che li avvicinano. Entrambi, ad esempio, hanno iniziato suonando cover di brani rock'n roll (Chuck Berry, Buddy Holly, etc.); tutt'e due le band erano caratterizzate dalla "doppia leadership" (Lennon-McCartney, Jagger - Richards); una canzone li unisce: tra le prime interpretazioni degli Stones c'era "I wanna be your man" di Lennon-McCartney e poi, anche se in modo diverso, sia gli uni che gli altri hanno rappresentato la ribellione e la trasgressione. Ma la cosa che più accomuna questi due gruppi, ovviamente, è che hanno condizionato in maniera decisiva la musica che è stata creata dopo la loro apparizione (tanti chitarristi si sono ispirati ai riff di Keith Richards, tanti gruppi sono nati per emulare i Beatles, tanta musica è stata scritta con un'orecchio rivolto alle atmosfere musicali create da queste due band britanniche).

Da che parte sta l'autore del blog? L'adolescenza ribelle l'ho vissuta schierato dalla parte degli Stones... ma poi son passato dalla parte dei Beatles.
Trovo che la musica dei Beatles abbia la capacità di muovere qualcosa dentro l'anima, ti fa riflettere, ti fa sorridere, ti fa sentire la malinconia oppure la voglia di vivere. Credo veramente che la musica dei quattro di Liverpool sia qualcosa di grandioso, che rimarrà nella storia dell'umanità.

Per restare in tema, ecco un sondaggio: da che parte state?!

lunedì 18 maggio 2009

Leggendo un libro del Dr. Sacks... (i musicisti ciechi)

L'immagine del musicista o del poeta cieco ha un'aura quasi mitica, come se gli dèi avessero concesso a costoro il dono della musica o della poesia per compensare il senso della vista di cui li avevano privati. Musicisti e bardi ciechi hanno avuto un ruolo particolare in molte culture, nelle vesti ora di menestrelli erranti, ora di artisti di corte o cantori religiosi. Per secoli, nelle chiese europee vi fu una tradizione di organisti ciechi. Molti sono i musicisti ciechi, soprattutto (anche se non esclusivamente) nel mondo del gospel, del blues e del jazz: Stevie Wonder, Ray Charles, Art Tatum, José Feliciano, Rahsaan Roland Kirk e Doc Watson, solo per fare alcuni nomi. Molti di questi artisti, anzi, hanno aggiunto «Blind» - il cieco - al proprio nome, quasi fosse un titolo onorifico: Blind Lemon Jefferson, The Blind Boys of Alabama, Blind Willie McTell, Blind Willie Johnson. In parte, l'abitudine di indirizzare i non vedenti verso professioni musicali è un fenomeno sociale, giacché era percezione comune che i ciechi fossero tagliati fuori da molte altre occupazioni. A questo impulso sociale corrispondono però potenti risorse interiori. I bambini ciechi spesso parlano precocemente e sviluppano un'inconsueta memoria verbale; allo stesso modo, molti di loro sono attratti dalla musica e motivati a farne il centro della propria vita.

Questo brano tratto dal bellissimo libro "Musicofilia" di Oliver Sacks, oltre a farci riflettere sul rapporto tra i non vedenti e la musica (dal passato fino ad oggi), ci da qualche riscontro "scientifico" per comprendere la forza e l'intensità che queste persone riescono a trasmetterci attraverso la loro musica.
Personalmente trovo che la musica di alcuni artisti ciechi abbia una ricchezza ed una completezza sonore che diventano palpabili; sento nei loro arrangiamenti una capacità di "riempire lo spazio" che è, indubbiamente, anche frutto della loro maggiore sensibilità uditiva.
Nonostante io sia particolarmente appassionato della musica di gente come Stevie Wonder (chi segue questo blog forse lo ha intuito...), Ray Charles e di vari artisti ciechi del blues "d'epoca"... non mi ero mai soffermato a riflettere su questa "densità" di musicisti non vedenti proprio nella musica "nera" e mi chiedo il perché proprio nel jazz, nel blues e nel gospel così tanti talenti ciechi... chissà forse il Dr. Sacks ce lo spiegherà nel suo prossimo libro!

Questo è l'indimenticabile Ray Charles nella sua "Hallelujah I Love Her So".

mercoledì 15 aprile 2009

I grandi si riconoscono dal... vivo! (Thin Lizzy)

Nel film "The Committments" (di Alan Parker, 1991... imperdibile!) c'è una scena bellissima, in cui il protagonista sprona i componenti del gruppo a suonare il soul, dicendo che gli Irlandesi sono i più neri d'Europa e i dubliners i più neri d'Irlanda.
Quel brano del film (uno dei miei "cult movies"), mi ha fatto sempre tornare alla mente un irlandese veramente nero, perchè mezzo brasiliano, Philip Lynott, che con i suoi Thin Lizzy ha dato tantissimo alla musica Rock.
L'abuso di droghe lo ha purtroppo ucciso nel 1986, ma rimane uno dei simboli della musica irlandese, tanto che nella sua Dublino, vicino alla centralissima Grafton Street, oggi c'è una statua commemorativa che lo raffigura.

I Thin Lizzy nascono nel '69 nella capitale dell'EIRE e, oltre che per il compianto Phil, sono ricordati per essere il gruppo che ha avuto una sfilza di bravi chitarristi paragonabile solo a quella degli Yardbirds (che nelle loro file hanno avuto gente come Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page..).
Nascono come band folk-rock e, oltre a Lynott, c'erano Brian Downey alla batteria e Eric Bell (già nei Them del grande Van Morrison) alla chitarra, il primo della serie dei grandi della sei corde.
La formazione si evolve e, fino al 1983, anno dell'uscita dell'ultimo studio album ("Thunder and lightning"), tanti chitarristi si avvicendano:
  • Eric Bell (chitarrista della prima formazione, che produce tre album)
  • Brian Robertson / Scott Gorham (due chitarristi: uno scozzese, Robertson, e un californiano, Gorham, che rappresentano uno dei tandem chitarristici più grandi della storia del rock; una coppia che suona nei sei dischi di successo degli anni d'oro dello stile "Lizzy")
  • Gary Moore / Scott Gorham (nel disco "Black rose", un cambio di formazione con un grande innesto, Gary Moore, vecchio amico di Phil Lynott che aveva suonato con Phil e con i Lizzy già in precedenza)
  • Snowy White / Scott Gorham (la nuova coppia, dei primi anni '80, per due dischi non ai livelli dei precedenti, nonostante l'inserimento di White, chitarrista bravo e raffinato, che aveva suonato anche con i Pink Floyd)
  • John Sykes / Scott Gorham (arriva l'astro nascente del metal lanciato nel firmamento dai Lizzy, il giovane Sykes, e nell'ultimo album i Thin si reinventano con un sound ancora più "hard")
Tra i molti altri chitarristi che si sono alternati nella band ricordiamo anche Midge Ure (famoso per essere fondatore e leader degli Ultravox).
I Thin Lizzy sono una band che ha influenzato in modo decisivo tutto quello che è stato l'hard rock dalla metà degli anni '70 in avanti. Un hard rock "nero", un sound innovativo, potente, portatore di ritmiche e approcci nuovi (come gli assoli di chitarra in armonia tanto utilizzati in seguito da gruppi come gli Iron Maiden) e con la presenza scenica spettacolare degna dei più grandi gruppi rock!

Non ho mai capito perché, ma i dischi registrati in studio dai Thin Lizzy, non rendono quanto i loro dischi live, assolutamente clamorosi. "Live and dangerous" (1978) e il celebrativo "Life Live" (1983), registrato quando il gruppo era praticamente già sciolto (che vede la partecipazione di tutti i chitarristi che negli anni hanno militato nella band), sono i due dischi che consiglio a tutti di ascoltare.

Questa è "Dancing in the moonlight", un classico dei Thin Lizzy, ovviamente dal vivo!

martedì 24 marzo 2009

L'affittacanzoni (Bob Dylan)

Io penso che chiunque sia nato dagli anni '60 in poi, in tutto il mondo, ha certe musiche nella testa. Volente o nolente TV, Cinema, documentari, film ci hanno fatto arrivare nelle orecchie cose che (anche se non ci piacciono) conosciamo, come i Beatles e gli Stones, la musica del '68, gli echi del rock degli anni '70, etc. (quello che viene dopo neanche lo nomino, non lo ritengo troppo rilevante).
Uno dei personaggi che ha contribuito a creare molta di quella musica che ci risuona nelle orecchie è Robert Allen Zimmermann, meglio conosciuto come Bob Dylan.
Quanti documentari sugli anni '60 avevano come sottofondo "Blowin in the wind", piuttosto che "Mr Tambourine Man"? E quante canzoni, come "Like a rolling stone", "Hurricane" o "Knockin' on heaven's door" (canzone famosissima, che fa parte della colonna sonora di un film che oggi ricorderebbero in pochi se non fosse per la musica...) continuano a risuonare nei film e in un sacco di altre situazioni?

Bob Dylan è uno che ha alle spalle quasi 50 anni di musica (e non solo... è uno scrittore, un pittore, un precursore dei video musicali, un poeta...) ed è anche uno degli autori le cui canzoni sono state più volte riproposte (e riarrangiate) da altri artisti.
Per fare qualche esempio, ho conosciuto "All along the watchtower" ascoltando la cover di Jimi Hendrix, prima di sentire l'originale; la versione di "Highway 61 revisited" di Johnny Winter mi ha fatto interessare all'originale di Dylan (oltre che all'album omonimo che la contiene) e l'ascolto attento di "Via della povertà" di Fabrizio De André, mi ha fatto scoprire che era una rivisitazione di "Desolation Row". Altre celeberrime cover sono "Mr Tambourine man" dei Byrds e "Like a rolling stone" di un recente album dei Rolling Stones.
Dylan è la dimostrazione che la grande musica è eterna e si presta alle rivisitazioni anche più stravolgenti come, tanto per portare un altro esempio, la "Knockin' on heaven's door" ripresa (tra i tanti) dai Guns 'n Roses, in chiave hard rock.
Lui stesso ha reinterpretato sue canzoni, spesso cambiandone gli arrangiamenti e i ritmi (basta ascoltare le diverse versioni sui suoi dischi sia in studio che live).

Ero davanti alla TV quando, nel 1992, fu trasmesso il concerto per i 30 anni di carriera di Bob Dylan, nel quale (sempre per rimanere in tema) molti artisti hanno eseguito brani del "festeggiato". Chi canta e suona la slide guitar (in modo unico!), in questa incendiaria versione di "Highway 61 revisited" (tratta proprio da quel concerto), è Johnny Winter... buona visione!

lunedì 2 marzo 2009

2 marzo 2009, un anniversario: Jeff Healey

Ho avuto la brutta notizia della morte di Jeff Healey qualche mese dopo il 2 marzo del 2008, ed è stata una notizia triste, perché si trattava, oltre che di un grande musicista, di un uomo di soli 42 anni, morto di un brutto male, lo stesso male che da bambino lo aveva reso cieco.
Oggi a un anno esatto dalla sua scomparsa voglio ricordarlo. Jeff era canadese, e aveva il blues nelle vene.
Cantante e chitarrista che rimarrà nell'immaginario di molti sia per la sua cecità, sia per il suo modo di suonare la chitarra da seduto, tenendola appoggiata sulle ginocchia, aveva iniziato come ragazzo prodigio, esordendo giovanissimo e incrociando la chitarra sul palco con gente del calibro di Stevie Ray Vaughan...

Ho avuto la fortuna di vederlo in concerto, insieme a 2-3 amici, nel 1995, in uno di quei piccoli club dove spesso suonano i musicisti bravi.
Ricordo questo concerto come uno dei più belli e veri della mia vita, ho assistito alla performance di un ragazzo che suonava il blues e il rock con gioia, grinta e passione. Tra l'altro il concerto era per promuovere il suo album "Cover to cover" appena uscito (una raccolta di cover di brani tratti dal repertorio di gente come Hendrix, Led Zeppelin e altri grandi del rock) e lui e la sua band si esibirono in una carrellata di classici a dir poco esaltante.

Solo recentemente ho scoperto che negli ultimi anni aveva iniziato a percorrere nuovi percorsi musicali, verso il jazz, e iniziato a fare musica suonando la tromba oltre che la sei corde (dischi come "Adventures in Jazzland", del 2004, lo testimoniano). Cos'altro dire? Credo sia uno da ascoltare e credo anche che rimarrà nell'olimpo dei grandi chitarristi per il suo stile unico.
La sua discografia va dal 1988 al 2008 (l'ultimo album è uscito poco dopo la sua morte), pescate qualcosa e ascoltatela, magari partendo proprio da "Cover to Cover".

Sentite e guardate Jeff come suona in questo filmato del 1995 (con la band che ho avuto la fortuna di vedere proprio in quell'anno) la cover di "Stuck in the middle", un pezzo anni '70 degli Stealers Wheel.

mercoledì 11 febbraio 2009

La seconda giovinezza del rock and roll e dello swing (Brian Setzer)

Un musicista che apprezzo da anni, perché mi diverte e mi coinvolge con la sua musica, è Brian Setzer, un chitarrista/cantante americano arrivato al successo nei primi anni 80 come leader degli Stray Cats.
Nell'epoca del post punk e dell'inizio delle band col make up e i capelli cotonati, gli Stray Cats erano un gruppo piuttosto insolito (un trio: chitarra, batteria e contrabbasso), che rileggeva in chiave moderna e metropolitana il genere rockabilly. Ricordo di aver scoperto la loro musica nel 1982, ascoltando una compilation di Sanremo... (lo stesso Sanremo di Frate Cionfoli... clamoroso!).
Negli anni '90, l'avventura di questo gruppo finisce, ma continua il percorso di Brian, che crea un'orchestra, o meglio una big band sullo stile di quelle degli anni '40 e comincia a sfornare bellissimi dischi da studio e dal vivo.

Le doti di Brian Setzer non si riesce ad elencarle in poche righe, lui fa parte della categoria dei "guitar hero", suona rock and roll e rockabilly rileggendoli in chiave moderna (con un sound che è rock ma allo stesso tempo jazz), un musicista che si trova a suo agio in un trio ma anche come leader di una big band che pare arrivata con la macchina del tempo dall'era dello swing.
Trovo che sia veramente un musicista pieno di gusto e di feeling, uno che sa scrivere, arrangiare ed eseguire magistralmente la musica, e dal punto di vista scenografico è veramente un animale da palcoscenico!
E' un chitarrista con il gusto dell'assolo, quell'assolo che è melodia e completamento di un'atmosfera musicale e non sterile esibizione di inutili virtuosismi (quanti chitarristi dovrebbero seguire il suo esempio...); è uno che canta sorridendo e facendo battute con il pubblico, perché si vede che è lì per loro.

Mi sento di consigliare un bell'album: "Guitar Slinger" (1996), dove la Brian Setzer Orchestra propone brani inediti insieme a veri propri classici, da "Town without pity" di Gene Pitney, a "The house is rocking" del grandissimo Stevie Ray Vaughan.
Eccovi un saggio della bravura di Setzer e della sua Orchestra: "Stray cat strut", un classico dell'epoca Stray Cats che suona molto anni '50, il cui assolo è stato nominato tra i 100 più grandi assoli di chitarra dalla prestigiosa rivista americana Guitar World.

lunedì 12 gennaio 2009

Scuola di chitarra elettrica in un disco dedicato a Jimi (Paul Gilbert)

Oggi voglio parlare di uno dei dischi più belli che io abbia mai ascoltato, chitarristicamente parlando: Paul Gilbert - Tribute to Jimi Hendrix.
Lessi la prima recensione di questo disco nel periodo in cui mi nutrivo di riviste chitarristiche (credo su "Chitarre".. chissà se ancora la pubblicano?), era una recensione che parlava di qualcosa di unico, anche per la vicenda che c'è dietro questo live, registrato al festival Jazz di Francoforte.
Sembra che Gilbert, a quel festival, dovesse duettare con il grande Albert Collins (leggenda del blues), il quale non poté partecipare alla manifestazione. Gli fu allora chiesto di riempire 50 minuti di show da solo, suonando brani di Jimi Hendrix, e siccome lui ne ricordava solo cinque a memoria, decise di suonarli (tra l'altro accompagnato da musicisti con cui non aveva mai suonato) allungandone la durata con una serie di improvvisazioni alla chitarra.

Il risultato è un grandissimo disco, che si apre con una versione di "Red House" (uno dei leggendari blues del grande Jimi) che fa accapponare la pelle, caratterizzata da un assolo della durata di oltre 5 minuti, che è una vera e propria rassegna di tecniche di chitarra...
Tra le altre leggende che accompagnano questo disco, ho sentito parlare anche di quella riguardante il pubblico, pronto a fischiare l'esibizione di questo "metallaro" (Gilbert nasce come chitarrista di un gruppo hard rock: i Mister Big) ad un festival jazz... ma la reazione di un pubblico musicalmente ferrato come quello jazzistico, ad una serie di improvvisazioni piene di feeling e di capacità tecniche, non poteva che essere l'entusiasmo totale che si sente sul disco alla fine di ogni brano.

Paul Gilbert ha militato per anni nei Mister Big insieme ad altri virtuosi come il bassista Billy Sheenan. Con questa band ha inciso diversi dischi, ma devo dire che a livello musicale non mi ha mai convinto tantissimo quell'esperienza.
Consiglio invece a tutti di ascoltare il "Tribute to Jimi Hendrix", per capire veramente la potenza musicale racchiusa nei polpastrelli di quest'uomo.

A proposito, eccovi il filmato della "Red House" di apertura del concerto... guardate, ascoltate... e stupitevi!

Link al video (in realtà c'è solo l'audio)

giovedì 1 gennaio 2009

Buon 2009 (con tanta buona musica) a tutti!

Siccome dopo 8 anni starò festeggiando il capodanno, mi costituisco: non sto scrivendo sul blog in diretta!
Diciamo che sono in differita... sto "registrando" questo post per mandarlo in onda allo scoccare del nuovo anno.

Il primo capodanno di questo blog non poteva che essere festeggiato con un brano a tema, tratto da "War" (1983), terzo album degli U2 (il disco che contiene la mitica "Sunday bloody sunday"), un disco dei grandi U2, quelli prima di "Achtung baby", quelli lontani anni luce dalle "Discoteque". La canzone ovviamente è "New year's day".
Buon anno a tutti!



 
This site uses Thumbshots previews