domenica 26 giugno 2011

Raphael Gualazzi, un cocktail di generi musicali in salsa italiana

Il 24 giugno sono stato al concerto di Raphael Gualazzi, e devo dire che ho ascoltato qualcosa di veramente importante che è salito alla ribalta, finalmente, nel panorama italiano.
Questo trentenne urbinate, arrivato al grande pubblico grazie a Sanremo Giovani, suona un genere che non è la musica di consumo degli eroi da un trimestre sfornati dai reality show, né quella dei santoni "rock" del nostro paese che riempiono gli stadi da 20-30 anni facendo sempre le stesse cose.
Se si ascolta il suo disco "Reality and Fantasy" si ha l'impressione di un artista che ama la musica, soprattutto il jazz, un jazz anche un po' antico, e molta altra musica nera sia blues, sia R&B, sia funk. Una contaminazione di un sacco di artisti e di generi (compresi echi di cose italiane che si chiamano Bruno Martino, Paolo Conte o Fred Buscaglione) che live ha avuto la sua piena espressione.
Comprate questo disco e andate a sentirlo dal vivo, ne vale davvero la pena. Nel concerto ha spaziato dalle cover dei classici come "Caravan" di Duke Ellington o "Confessin' the blues" di Little Walter, ai pezzi originali in cui comunque si riconosce la sua passione per certi generi musicali, interiorizzati a tal punto da restituirli nelle sue esecuzioni con una freschezza e una originalità, che insieme alla sua capacità di suonare (che non sfocia mai nel virtuosismo vanitoso, ma al piano è bravo e parecchio), sono la forza della sua musica.

"Reality and Fantasy", un disco con 15 tracce in cui il filo conduttore è la mano dell'interprete, essendo i brani veramente diversi come genere musicale. C'è il jazz raffinato, ma anche le incursioni nei ritmi sudamericani, c'è il soul di "Out of my mind" o di "Empty Home", c'è "Behind the sunrise" che un pezzo da crooner di altri tempi o "Scandalize me" che sembra "Higher ground" di Stevie Wonder suonata a velocità forsennata, o ancora "Lady O" e "Calda estate" due tributi rispettivamente a Buscaglione e a Paolo Conte e molto, veramente molto altro.
Cosa dire? continua così Raffaele, in Italia c'è tanto bisogno di gente che faccia musica.

Questa è "Icarus", pezzo al confine tra diversi generi musicali, che riporta alle atmosfere di certi club per appassionati di jazz e allo stesso tempo alla grande tradizione soul, ma con una vena pop che lo rende accessibile anche ad un pubblico più ampio.


domenica 5 giugno 2011

L'arca della musica anni '80: cosa c'è da salvare?

Gli anni '50, '60 e '70 sono stati tre decenni di grandissima innovazione musicale. Il rock è nato nei '50; i '60 ci hanno portato i Beatles, gli Stones, Woodstock e Hendrix (solo per citare due cose...); i '70 ci hanno fatto conoscere il rock più duro ma anche il progressive e il Jazz-Rock.
Cos'è successo dopo? è nato il "new romantic", il "dark"? Che peso dare a cose musicalmente anche di buona qualità, a forza messe nel calderone "grunge" degli anni '90? Direi che rispetto ai fenomeni storici dei decenni 50-60-70, abbiamo visto veramente poco.
Gli anni '80 in particolare sono stati, sul piano musicale, il decennio del crollo verticale per la musica, da tutti i punti di vista, dopo tre decenni caratterizzati da un fantastico crescendo (se possibile i sessanta sono stati più entusiasmanti dei cinquanta... e i settanta ancor più esplosivi).

Negli eighties la musica ha avuto una involuzione tecnica, creativa, stilistica rispetto al decennio precedente. Cose di qualità ci sono state, ma in singoli artisti o gruppi e comunque in singoli "episodi". Belle canzoni che passeranno alla storia, ma non passeranno alla storia i loro interpreti... tranne forse pochissime eccezioni. "Drive" la stupenda canzone dei Cars (qualcuno se li ricorda?) un pezzo che ancora oggi si ascolta dovunque ne è un esempio rappresentativo.
Se mi chiedessero di dare una definizione rapida degli anni anni '80, direi che sono stati il decennio delle sostituzioni: l'elettronica che sostituisce il musicista, l'immagine che sostituisce l'ascolto, la casa discografica che sostituisce i dj radiofonici nel decidere i brani da mandare in onda, etc... Una deriva verso la musica non suonata, verso la musica vista nei video più che ascoltata, verso la musica trasmessa perché qualcuno ci ha investito sopra dei soldi e deve rientrare dell'investimento...

Non voglio però cadere in una pericolosa generalizzazione. I Cure, i Depeche Mode, gli U2, i Dire Straits e i Police (tra i gruppi a cavallo dei due decenni) sono musica degli anni '80, come lo sono i Jane's Addiction, i Faith No More o i Living Colour... e canzoni belle come "Through the barricades" sono uscite fuori anche da personaggi di non immenso valore come gli Spandau Ballet.
Nel bene e nel male un personaggio come Michael Jackson negli anni '80 ha scritto pagine di musica memorabili e altri animali da palcoscenico come Madonna sono ancora, meritatamente, sulla cresta dell'onda.
Le canzoni "meteora" degli anni '80 che popolano i miei ricordi dell'infanzia e della pre-adolescenza vanno da "Video Killed The Radio Star" dei Buggles (due personaggi che avevano militato persino negli Yes...) a "The Heat Of The Moment" degli Asia (uno dei supergruppi degli anni 80 fatto di mostri sacri degli anni '70), passando per "Eye In The Sky" degli Alan Parsons Project, "Time After Time" di Cindy Lauper e "Walking On Sunshine" di Katrina And The Waves. Un bel po' di frammenti che collego a momenti della mia vita, ma che musicalmente neanche si avvicinano alla musica grandiosa dei decenni precedenti, quella che ho scoperto quando ho cominciato a tornare (musicalmente) indietro nel tempo.

"Happy Circus" era una trasmissione pomeridiana dei primissimi anni '80, condotta da Sammy Barbot. La sigla iniziale era "Every Little Thing She Does Is Magic" dei Police, una delle band veramente innovative del decennio.

 
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